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DRACULA
(BRAM STOKER'S DRACULA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 febbraio 1993
 
di Francis Ford Coppola, con Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins, Keanu Reeves, Tom Waits (Stati Uniti, 1992)
 
"Filmando la storia di Dracula per la centocinquantaseiesima (!) volta nella storia del cinema (da Murnau, Dreyer, Browning fino a Polansky, Morrissey, Herzog...), Francis Coppola compie quel rito che ha sempre segnato il suo cinema: la "vampirizzazione" della Storia dello Spettacolo. Un rito che lo esalta, e lo condiziona al tempo stesso.

Come in APOCALYPSE NOW, dove la guerra rappresentava il massimo spettacolo inventato dall'uomo, come nel PADRINO dove il melodramma che sappiamo s'organizzava attorno al burattinaio-demiurgo interpretato da Marlon Brando, tutto s'organizza attorno al principio della Rappresentazione. Dove sbarca infatti il povero conte DRACULA, esule nella Londra vittoriana alla rincorsa del suo tragico amore nato molti secoli prima? In una sala nella quale si sta rappresentando l'ultima delle Meraviglie, lo Spettacolo di ogni Spettacolo, il Cinematografo...

"Vuole proprio istruirsi?" - gli chiede la disinvolta (per quei tempi) donna della sua interminabile vita - "vada piuttosto a visitare uno dei nostri magnifici musei...!" . Con la sua ironia, Coppola ci ripete che la nostra epoca, proprio come il cinema del quale egli si serve, arrischia ad ogni istante di svuotarsi in una pura, brillantissima, ed un poco vana rappresentazione di sé stessa.

Grandiosa, ed un poco vana: la vampirizzazione di Coppola non poteva essere diversa. Il suo DRACULA si riappropria, in una sorta di convulso post-modernismo, di tutto quanto c'è da succhiare da coloro che lo hanno preceduto. Il regista proclama di aver filmato per la prima volta "tutto" il romanzo di Bram Stoker tanto ammirato da Oscar Wilde: dalle origini nel XV secolo, quando l'eroico ed idealista conte Dracula vince gli Infedeli, ma perde l'adorata moglie; suicida, perché i Turchi le fanno credere che lui sia morto. Condannandolo, nella sua disperazione e ribellione, alla condizione del Nosferatu, del "non - morto". Fino al finale ottocentesco, con l'inseguimento, la distruzione, o piuttosto la liberazione del Vampiro nel castello in Transilvania: che l'origine teatrale del testo impediva di rendere realisticamente nei film precedenti.

Ma il cinema di Coppola difficilmente si piega ad un disegno sceneggiato, tutto preso com'è dalla propria tentazione espressiva. Specie se nasce, come qui dall'esigenza imperativa di cogliere un grande successo internazionale, di riacquistare quella fiducia dell'odiata-amata Hollywood ormai largamente incrinata da molteplici disavventure commerciali. Non può che volgersi, allora, una volta di più verso la propria portentosa, narcisistica magnificenza: rimandare tutta quella miriade di riflessi che lo specchio dello Spettacolo ha dettato alla sua opera. In una dialettica che, a seconda degli umori, sembrerà esaltante, oppure fine a sé stessa.

Ecco allora i riflessi psicanalitici che da sempre hanno esaltato il tema: la sublimazione della passione del Vampiro, così come la rimozione dell'erotismo nelle sue vittime. E la lotta tra le tenebre e la luce, le tensioni tra sessualità e morte, il simbolismo del sangue, l'ipnosi dei medici-guaritori. Poi quelli storico-sociali, dettati da lungo periodo sul quale si svolge il destino del tragico Conte. Dapprima quelli di un cristianesimo un po' da leggenda, poi quelli della fine dell'Ottocento dove ci trascina la vicenda: l'avvio della rivoluzione industriale e i progressi scientifici, la locomotiva a vapore che conduce in Transilvania, i globuli rossi esaminati al microscopio, la fidanzata Mina che impara a dattilografare e, naturalmente, i primi passi del cinematografo.

Con il carattere che - come abbiamo visto - si ritrova, ed arrivando buon ultimo per quelle frequentatissime contrade, come evitare che il DRACULA coppoliano si trasformi in disquisizione enciclopedica? Se i riferimenti pittorici sono quelli a Klimt, Füssli, Redon o Moreau, quelli cinematografici sconfinano sfrenati da Welles (le croci celtiche) a Kurosawa (la battaglia iniziale), da Cocteau (la Bella e la Bestia) a Fellini (Dracula con la parrucca del Donald Sutherland di CASANOVA), da Meliès (la luna, le nuvole, il firmamento) a Cronenberg (il mostro di plastica), dal Murnau del castello coi lupi allo Spielberg dell'inseguimento con carabina texana alla INDIANA JONES.

Ma il salto temporale è triplo. Dalla caduta di Costantinopoli alla Londra dei medici-esorcisti; ed ai tempi nostri dell'inquieto sperimentatore di ONE FROM THE HEART . Ecco allora gli accenni ai grandi temi contemporanei, quello della straniero in patria (italiani in USA de IL PADRINO, morti tra i vivi di questo DRACULA) e, naturalmente considerati i morsi, quello dell'AIDS. Con la brava Winona Ryder che invoca il Conte di contaminarla con il proprio amore, e gli accenni espliciti ad una "malattia sconosciuta del sangue".

Anche per uno come Coppola, tutto ciò arrischia di sconfinare dai poteri della sua bacchetta magica. E l'esercitazione enciclopedica ha i sui rischi: come quello di deviare i significati, verso un curioso e punitivo puritanesimo che contraddice pericolosamente un'operazione ormai secolare condotta in liberazione all'ipocrito fobismo sessuale vittoriano.

Sono i rischi corsi da sempre dal furioso, ma generoso sperimentatore Coppola. Se, alla fine si finisce per schierarsi dalla sua parte è propria per la generosa, sconsiderata bulimia del suo cinema: che gli fa trasformare l'occhio della coda di un pavone nella galleria di un treno che conduce nei Balcani, o condurre l'ombra del vampiro ad abbandonare quella proiettata dal corpo di Nosferatu, o la testa appena mozzata a trasformarsi in un arrosto addentato in una taverna, con un'ironia che non sarebbe dispiaciuta al dissacrante Polanski del BALLO DEI VAMPIRI.

Ma non è soltanto la straordinaria perizia di un cinema di un fanatico dell'elettronica ritornato ai trucchi "semplici" di Meliès a nobilitare DRACULA: è lo scetticismo che s'indovina dietro tanta esaltazione, la melanconica, accorata meditazione che Coppola conduce sul suo personaggio.

Quella Bestia che la sua Bella si affanna a voler salvare, quel Diverso così difficile da accettare, quello Straniero venuto da un mondo fuori dal tempo e dallo spazio al quale siamo pigramente abituati, ci rimandano commoventemente alla preoccupazioni del nostro tempo. Con un'urgenza, una preoccupazione ed una fede nell'umanità, che riescono a significare ogni geniale diavoleria."


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